Dove si trovano i nodi del bitcoin nel mondo

Più del 50% sta tra Stati Uniti, Francia e Germania. La Cina ne detiene pochi in patria e molti all'estero. La mappa della rete della criptovaluta

Bitcoin (foto Omar Marques/Sopa Images/LightRocket via Getty Images)

Come l’euro, il dollaro e le altre monete fiat, anche il bitcoin ha una sua geoeconomia. Ma se le altre valute sono inevitabilmente legate a un’area geografica più o meno circoscritta, per quanto vasta, il bitcoin visto dalla Luna appare come una sorta di ponte finanziario tra luoghi assai distanti, che disegnano un’inedita geografia. Secondo una ricerca condotta dalla società di analisi Datalight, quasi tre quarti di tutti i nodi bitcoin sono localizzati in soli 10 paesi. Quali? L’elenco non ci risparmia sorprese.

La distribuzione dei nodi del bitcoin nel mondo (fonte: Datalight)

In testa ci sono gli Stati Uniti, che guidano il gruppo con oltre 2.625 nodi, seguiti da Germania e Francia rispettivamente con 2.016 e 698 nodi. Incredibile ma vero, questi tre paesi assieme sono responsabili di oltre il 50%  di tutti i nodi operativi dei bitcoin. Seguono i Paesi Bassi con 527 nodi e la Cina con 411.

Come? La Cina è solo quinta? Ma nel 2018 non si era detto che era il paese della criptoeconomia e aveva la potenza di far deragliare il bitcoin e di influenzare illecitamente la sua rete? Ebbene sì, detto e confermato. Ma il cripto-potere della Cina più che nella quantità di nodi in loco, sta nel suo gran numero di factory/miniere di bitcoin, che tra l’altro “controllano” molti nodi al di fuori del paese.

Continuando a scorrere l’elenco, con Canada (402 nodi), Regno Unito (357), Singapore (316), Russia (276), Giappone (236)si arriva ai primi dieci, che possiedono i tre quarti di nodi dei bitcoin. La Corea del sud, dove pure le criptovalute sono assai apprezzati, è solo undicesima. Mentre l’Italia tra le prime venti non compare. In Africa occidentale pare ci sia un solo nodo. Forse la cosa più interessante però è la presenza nella lista di Singapore e dei Paesi Bassi. Due paesi relativamente piccoli che rappresentano la maggiore densità di nodi bitcoin pro capite, con 17.700 e 32.000 abitanti per nodo, rispettivamente. Per capirci gli Stati Uniti, che sono primi, possono vantare un nodo ogni 120.000 abitanti.

Sempre per giocare con le cifre, gli americani si portano a casa anche un altro primato. Un’altra ricerca di Datalight sulle principali piattaforme di scambio, ci dice che i trader statunitensi sono i più operativi e presenti. Su Coinbase, che è americana, rappresentano addirittura il 60% dell’utenza. E più di un quarto dei trader che operano su Binance, Bittrex e Poloniex operano dagli Usa. E gli italiani? Su Coinbase sono circa il 2,3%, su Bittrex il 4,4% e su Poloniex il 6,5%.

Tornando ai nodi, sappiamo che negli ultimi anni il loro numero è calato. Dagli 11.845 dei dicembre 2017, quando il bitcoin ha raggiunto le sue quotazioni record, ai 10.842 di oggi (una cifra comunque in risalita).

Ma perché è così importante stabilirne una geografia? La risposta è semplice: la struttura libertaria del bitcoin prevede che non vi sia un’autorità centrale, ma appunto una serie di nodi sparsi per il mondo, tenuti assieme dalla blockchain, in modo che se uno o più nodi vengono attaccati, gli altri possiedono comunque una copia del database delle transazioni e possono proteggere il bitcoin dal rischio di falsificazione. Ecco perché è importante che non siano tutti nello stesso luogo. Anche se, va detto, non tutti i nodi sono operativi e alcuni di essi si limitano solo a verificare le proprie transazioni e non contengono l’intera blockchain. Ma questa è un’altra storia.